Archivio per marzo 2017
“On my cheek”, un mio haiku…salutando definitivamente l’inverno.
blinking …
sbattendo le ciglia
Masterclass, Milano 5 Aprile 2017: in principio era…lo Haiku. A cura di Librieletture.com
Polvere di fata …un mio senryu in doppia versione
pixie dust
under the pillow
baby tooth
polvere di fata
un dente da latte
sotto il cuscino
*
Eufemia Griffo
Haiku – Spring sunshine
spring sunshine
I see bloom a smile
on your face again
sole primaverile
vedo fiorire un sorriso
di nuovo sul tuo volto
*
Eufemia
haiku
oak tree
an ant goes up
to heaven
quercia
una formica sale
in paradiso
*
Eufemia
(immagine da Pinterest)
Un mio senryū 川柳, nella rubrica settimanale di Jim Kacian “Haiku in workplace” – The haiku foundation
Come Peter Pan, sognando di volare già da bambino. Il mio senryu, all’interno della rubrica “Haiku in workplce” di Jim Kacian.
airplane pilot
dreaming of flying
as a child
~
Eufemia Griffo
Prendimi fiume – Incipit del mio libro “Il fiume scorre ancora”
Prendimi fiume
nella tua profondità
d’abissi verdi,
accogli benevolo
il mio silenzioso addio
**
Eufemia
Poesia ispirata alla lirica di E. Dickinson, 1860
**
Il mio fiume scorre verso di te
Azzurro mare! Mi accoglierai?
Il mio fiume aspetta una risposta
Oh mare siimi benevolo
Ti porterò ruscelli
da angoli lontani
Ehi mare Prendimi!
A poet in time
solo la poesia
sarà un volo infinito
verso i miei sogni
poems…
endless flight
toward my dreams
*
Eufemia
Una mia vecchia poesia scritta l’8 Settembre 2010, in occasione dell’undecesimo compleanno di mio figlio
Corrono gli anni
sono fiumi impetuosi
scossi dal tempo
E noi a guardarli
stando là ad abbracciare
ciò che non è più
Vorrei prendere
stelle e pezzi di cielo
e farne giochi
Giochi perfetti
d’infinito bagliore
come l’Amore
A Ivan buon compleanno!
Eufemia
8 Settembre 2010
Nell’unica dimora
Cade una stella
sul drappo ricamato
del cielo oscuro
incontaminata eco
di fulgida bellezza
Ho camminato
sospesa sulle stelle
senza rumore
una mano sui sogni
prigionieri ribelli
A piedi scalzi
ho raccolto frammenti
piccoli cocci,
sono piccole parti
invisibili agli occhi
Arresa al sonno
e ai colori dell’alba
cerco la quiete
rincorrendo immagini
nell’unica dimora
**
Eufemia
Poesia liberamente ispirata alla lirica di Yeats
“Se avessi il drappo ricamato del cielo,
intessuto dell’oro e dell’argento e della luce,
i drappi dai colori chiari e scuri del giorno e della notte
dai mezzi colori dell’alba e del tramonto,
stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
invece, essendo povero, ho soltanto i sogni;
e i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
cammina leggera, perché cammini sui miei sogni”.
William Butler Yeats
da Il vento tra le canne, 1899
I giorni di ieri
I giorni di ieri
son trascorsi veloci
senza rimpianto
nel viaggio senza meta
tutto da percorrere
Così saranno
quelle ore non vissute
da completare
a ritmo d’orologio
nell’altro tempo e altrove
Eufemia
Era quel fiume
che mi rubava i sogni
velati d’ombre
intrisi di ricordi
e di alberi di neve
Era d’Inverno:
il fiume silenzioso
scivolava via
solo rumore d’acqua
ed il fruscio del vento
*
Eufemia
I commenti di Debbi Antebi e di Jennifer Hambrick, sul mio “Misty morning”
Writers n. 12 sul tema dell’amicizia
Onorata e felice di fare parte del nuovo numero della rivista Writers.
Un magazine ricco di contenuti, racconti da leggere, sfogliare e assaporare.
Questa volta abbiamo trattato il tema dell’ amicizia e io sono presente con due racconti:
” A te che vivi nei miei ricordi” e ” Fiori di Sakura”.
Grazie alla nostra direttrice Elena Brilli per l’ ottimo lavoro che svolge ad ogni uscita della rivista.
Buona lettura
Clicca sul link qua sotto per il download
https://drive.google.com/file/d/0B36h81sAzbS9YXJUTTZ2V1JtYUE/view
Ed il lento andare dell’acqua – Una mia poesia, pubblicata nel blog “Scrittori in corso”, in occasione della giornata mondiale della Poesia. Ne sono onorata.
Certe notti rivedo
i miei passi sulla battigia
in giorni caldi d’autunno
e le mie mani di bambino
che fanno barchette di carta
Certe sere le stelle
cadono lievi e attraversano
il lago velato di ombre,
nascoste da raggi di luna
bella come una dea sul trono
Mille sogni rapiti
dal gelido vento del lago
e naufragati in silenzio
uno ad uno, come una nave
prima di morire tra le onde
Quando giunge l’aurora
i sassi brillano di brina
e annunciano le fredde ore;
quel che resta è solo un ricordo
ed il lento andare dell’acqua
*
Eufemia Griffo
Un mio senryū 川柳, nella rubrica settimanale di Jim Kacian “Haiku in workplace” – The haiku foundation
Delighted to appear once again this week with a senryu of mine, in the “Haiku in Workplace”, edited by Jim Kacian. This week’s theme: The Boss’s Spouse.
boss’s wife
on the wedding photo
spider web
la moglie del capo
sulla foto del matrimonio
una ragnatela
*
— Eufemia Griffo
(Immagine dal web)
Un mio haiku pubblicato nella rivista americana “Stardust, poetry with a little sparkle” numero di Marzo, di Valentina Ranaldi Adams.
winter’s end . . .
daisies and dandelions
in the child’s drawing
*
Fine dell’inverno
margherite e denti di leone
nel disegno del bambino
*
Eufemia Griffo
Disegno di M.D. 4 anni, alunna della mia classe
E’ possibile scaricare l’intera rivista al link qua sotto
https://drive.google.com/file/d/0B2qnvk3Lnv93UDlaSFBOLTBVZTg/view
Il commento di Alan Summer al mio haiku “Misty morning”, da “Inner Voice”, il blog di Jennifer Hambrick
Wonderful!
I was reminded that the sea, and especially holiday places such as seaside resorts, beaches etc… are so vital, especially with our parents when they were both children, and then as young parents.
Also reminded of this haiku, although quite different, both Eufemia’s haiku and that of Lynne Rees struck a chord with me:
2nd With Words International Online Haiku Competition (2009)
Joint 2nd Prize
the sound of the sea
speaking to my mother
on her birthday
Lynne Rees (b. Wales)
Antibes, France
http://www.withwords.org.uk/results.html#2009commentary
re:
misty morning
mother doesn’t remember
the colour of the sea
Eufemia, the alliteration in your first two lines works magically with the diminishing power of memory as we get older: misty; morning; re[m]ember added to the hard assonance of ‘c’ in colour and the soft s of ‘sea’. So much to say in this beautifully crafted haiku.
warm regards,
Alan
Alan Summers is President of the United Haiku and Tanka Society; a Japan Times award-winning writer; Pushcart Prize nominated poet; also co-founder of Call of the Page which promotes literacy and literature events.
His blog are:
http://area17.blogspot.it/
http://www.withwords.org.uk/index.html
Sylvia Plath, quando la poesia si fa oscura, profonda e sacra. Un mio articolo apparso su “Occhi di Argo” nell’ambito della mia rubrica dedicata alla poesia “Delle rose e di altri inverni”.
Premessa per Sylvia
Questo articolo vuole essere, in generale, un approfondimento della vita e delle opere della Plath dando più ampio respiro a quello già apparso sulla rivista cartacea “I 2Mila Segnalibri” dell’Associazione “Gli Occhi di Argo” e della Casa editrice “L’ArgoLibro” nel mese di Marzo 2017 (cliccate qui per il post dedicato).
Sylvia Plath, scrittrice e poetessa statunitense, nacque a Boston nel 1932 da due emigranti tedeschi e morì suicida a Londra nel 1963 a soli trenta anni. La Plath fu autrice di liriche, romanzi e di libri per bambini.
Deve alla madre la scoperta e la passione per la poesia e sin da bambina iniziò a comporre liriche, facendo emergere un talento straordinario. I temi che affronterà nella sua produzione artistica, saranno il difficile rapporto con la madre e il trauma per la morte del padre, avvenuta a causa di una cancrena ad un piede, quando Sylvia aveva solo nove anni.
Fin da giovanissima iniziò a soffrire di crisi depressive e già nel 1953 cercò di togliersi la vita una prima volta.
Nelle lettere che scriverà a sua madre durante l’intero arco della sua esistenza, invece si descriverà come una studentessa modello, dotata di un precoce talento letterario, nonché una donna solare e perfetta. Tuttavia un’ombra iniziava ad avvolgere tutti i suoi giorni e la poesia diventerà man mano, la celebrazione del suo mal di vivere.
Sylvia Plath e la poesia
La poetessa americana Sylvia Plath è stata autrice di testi poetici e di prosa. Una vita fatta di poesia, un’ esistenza raccontata attraverso la lirica, una sorta di parabola dell’essere che ci porterà a scoprire Sylvia e i suoi pensieri, la sofferenza che la accompagnò per molti anni, il dolore degli ultimi istanti. Una totale abnegazione per la scrittura che ci racconteranno di una donna e del suo amore e del suo rapporto col padre, presente nella totalità delle sue poesie.
Questo è il potere della poesia e l’ho scritto molte volte negli articoli dove ho trattato di questa arte così sublime e nobile. Nella poesia e attraverso di essa, il Poeta utilizza un mezzo unico e privilegiato con cui raccontare lo scorrere dei giorni, dove vede se stesso come un personaggio che come un attore di teatro, sale e scende da un palco immaginario, per trovare una forma e una fisionomia.
Le parole poetiche tessono magie, ma per Sylvia esse non furono un’ancora di salvezza, bensì un mezzo per traghettarla verso la fine.
Un talento unico condensatosi in una manciata di anni che ci hanno regalato una voce incisiva, destinata a rimanere immortale nel panorama poetico dei nostri tempi.
Immortale poiché così è l’Arte, la buona arte, quella che sopravvive al tempo e alle persone e che ci narra dei tempi passati e delle donne e degli uomini che vissero prima di noi. La Plath attraverso le parole che cesellerà, amministrerà e farà vivere, ci descriverà la sua anima, il suo dolore, la paura e la sofferenza, che si rivestiranno di bellezza, oscura, profonda e sacra.
Sylvia e l’amore
“Magari un giorno tornerò a casa battuta, sconfitta. Ma non finché riuscirò a trasformare il mio cuore spezzato in racconti, la mia sofferenza in bellezza” (dai Diari, anno 1950).
Ted Hughes era un affascinante scrittore americano nato in Inghilterra; amava la natura e la poesia. Sylvia era l’americana brillante e problematica arrivata in Inghilterra dall’America per studiare letteratura grazie ad una borsa di studio.
La donna lo incontrò ad una festa e fu subito amore. Lui le rivolse la parola e lei cedette al suo fascino e alla sua voce tenebrosa. Sette mesi dopo si sposarono, innamorati e felici. Tutto sembrava loro possibile, la poesia li univa e diventava parabola di vita e d’ amore.
Dopo un primo periodo in America, dove la scrittrice si sottopose a nuove cure psichiatriche, nacquero due figli. Presto però la famiglia Hughes si trasferì in Inghilterra, patria di Ted, dove il matrimonio iniziò a deteriorarsi. Trovandosi in un paese straniero, il mal di vivere della Plath iniziò a peggiorare, parallelamente al fatto che Sylvia si sentiva inadeguata tra il ruolo di scrittrice e quello di moglie e madre. Ted, dal canto suo, iniziò a tradirla e si dimostrò incapace di fronteggiare la situazione. Quando i coniugi Hughes si separarono definitivamente, (a causa della relazione che Hughes aveva iniziato con Assia Wevill, moglie di un amico poeta), Sylvia andò ad abitare coi bambini, Frieda e Nicholas, a Londra, nello stesso appartamento dove aveva abitato William Butler Yeats. Sylvia ne fu estremamente contenta e lo considerò un buon presagio in vista del suo successo letterario; infatti sebbene sola e disperata, nell’autunno del 1962 scrisse la maggior parte delle sue poesie.
L’inverno 1963 fu per Sylvia molto duro poiché in quella stagione iniziò il procedimento legale per la separazione da Hughes. Fu in quell’anno che scrisse il romanzo “La campana di vetro” (The Bell Jar), pubblicato nel 1963 con lo pseudonimo di Victoria Lucas.
L’11 febbraio 1963 si tolse la vita con il gas nella cucina del suo appartamento. Sotto la porta dei bambini, presenti in casa, infilò stracci bagnati per evitare che il gas uccidesse anche loro.
Dopo la morte della Plath, Ted Hughes si occupò dei suoi beni letterari e distrusse l’ultimo volume del diario di Sylvia, che descriveva il periodo che avevano trascorso insieme. Nel 1982, Sylvia Plath divenne la prima poetessa che vinse il Premio Pulitzer dopo la propria morte ( “The Collected Poems”).
“Limite”
In “Edge”, (“Limite”), la sua ultima poesia (febbraio 1963), Sylvia Plath era sulla soglia, pronta a varcarla e con un ultimo atto di coraggio, andare verso il buio senza ritorno.
All’alba di lunedì 11 febbraio 1963, la Plath era una donna giovane e bella, nonché acclamata poetessa e madre di due bimbi. Nulla faceva presagire la tragedia che si sarebbe consumata da lì a poco.
Sylvia entrò nella camera dei figli e socchiuse la finestra, quindi lasciò accanto ai lettini un bicchiere di latte e una fetta di pane e burro. Poi uscì e chiuse la porta sigillandola dall’esterno con il nastro adesivo; subito dopo entrò in cucina e sigillò ermeticamente anche quella porta dall’interno. Infine si inginocchiò davanti al forno e accese il gas.
Dentro il suo corpo come petali
di una rosa richiusa quando il giardino
s’intorpidisce e sanguinano odori
dalle dolci, profonde gole del fiore della notte.
Niente di cui rattristarsi ha la luna
che guarda dal suo cappuccio d’osso.
A certe cose è ormai abituata.
Crepitano, si tendono le sue macchie nere.
(da”Edge”)
Sylvia Plath ha lasciato ad un pubblico sempre crescente un vasto corpo di testi tra prose e poesie, che la proiettano ben oltre la sua breve e tragica parabola vitale, testimoniando una costante ricerca e abnegazione per la scrittura. Il suo talento fu immaginifico e doloroso e ci ha regalato una voce esasperata, unica e incisiva, capace d’incarnare in sé l’energia necessaria del fare poetico, quando esso diventa rivelazione dell’io e del mondo.
La fragilità di una donna e l’istinto della morte
Come già detto, Sylvia Plath concentrò la quasi totalità delle sue opere poetiche negli ultimi anni della sua vita; aveva l’urgenza di un commiato, come se si rivolgesse ad un vasto pubblico di lettori ai quali chiedere di ascoltare la sua voce. Una voce che si disvelava attraverso la Poesia. Nella lirica che segue, scritta in rima baciata nel 1961, Sylvia si definisce “verticale”, rigida ed alienata in un mondo dove invece tutto è orizzontale. La scelta della parola “verticale” è emblematica del disagio di Sylvia Plath nei confronti di un mondo in cui si sente inadeguata e che non è fatto per lei.
Io sono verticale
Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un’aiuola
ultradipinta che susciti di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.
Stasera, all’infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto –
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.
Il pensiero della morte è costantemente ricorrente nella produzione della Plath. In questa poesia così come in molte altre, l’arte perde pian piano la sua funzione salvifica. In questa lirica l’autrice vorrebbe essere quindi “orizzontale” ed uniformarsi alla realtà, ma ella non è un albero con radici ben piantate nel terreno, e non ha a sua disposizione tutte le materie prime per prosperare. Né possiede la bellezza tipica dei fiori per potersi distinguere. Basandosi sempre su quel dualismo fra vita e morte, che ha reso immortali le sue liriche, Sylvia Plath sente di non avere la longevità di un albero e le manca l’audacia del fiore. Metaforicamente le mancano il tempo e il coraggio di vivere.
Nemmeno passeggiare sotto la luce delle stelle la farà sentire parte del mondo, anzi la notte aumenterà in lei quel senso di vuoto e di solitudine e solo con la morte avverrà quella congiunzione che le sarebbe stata fondamentale per continuare a vivere. Alla fine di tutto, gli alberi e i fiori, si accorgeranno di chi lei sia stata veramente e le dedicheranno finalmente del tempo.
Alcune poesie di Sylvia Plath
Nella raccolta “Lady Lazarus e altre poesie”, pubblicata da Mondadori, troviamo un’altra splendida poesia di Sylvia Plath che ha per titolo Ultime parole, una sorta di testamento spirituale in versi:
Non voglio una cassa qualunque, voglio un sarcofago
con striature di tigre e una faccia dipinta
tonda come la luna, con gli occhi sgranati in su.
Voglio sembrare che li guardo quando verranno
a scavarmi fra ottusi minerali e radici.
Già li vedo – pallide facce, a una distanza astrale.
Adesso non sono nulla, non sono nemmeno in fasce.
Li penso senza né padri né madri, come gli dei primigeni.
Si domanderanno se io sia stata importante.
Dovrei come frutta candire e conservare i miei giorni!
Il mio specchio si appanna –
ancora qualche fiato e non specchierà più niente del tutto.
I fiori e le facce si sbiancano come un lenzuolo.
Dello spirituale non mi fido. Sguscia via come vapore
nei sogni, per le fessure della bocca o degli occhi. Non posso
fermarlo, né mai tornerà. Ma non così le cose.
Loro restano, con quel piccolo brillìo particolare,
da tante mani scaldato, con un brusìo di piacere.
Se avrò freddo alle piante dei piedi,
mi consolerà l’occhio azzurro del mio turchese.
Siano con me le mie casseruole di rame, i miei vasi di coccio
mi fioriscano intorno notturni fiori, dal buon profumo.
Mi avvolgeranno nelle bende, deporranno il mio cuore
sotto i miei piedi in un bel pacchettino.
Non mi riconoscerò quasi. Sarà tutto buio,
ma ci sarà il fulgore di questi piccoli oggetti più dolce che il
viso di Ishtar.
Il disagio che ha accompagnato la breve vita di Sylvia Plath lo troviamo espresso in termini tanto aspri da non prestarsi ad alcun equivoco, anche nella poesia Specchio (di cui si può leggere anche il testo in inglese):
Specchio
Sono esatto e d’argento, privo di preconcetti.
Qualunque cosa io veda subito l’inghiottisco
tale e quale senza ombre di amore o disgusto.
Io non sono crudele, ma soltanto veritiero –
quadrangolare occhio di un piccolo iddio.
Il più del tempo rifletto
sulla parete di fronte.
È rosa, macchiettata. Ormai da tanto tempo la guardo che la sento
un pezzo del mio cuore. Ma lei c’è e non c’è.
Visi e oscurità continuamente si separano.
Adesso io sono un lago. Su me si china una donna
cercando in me di scoprire quella che lei è realmente.
Poi a quelle bugiarde si volta: alle candele o alla luna.
Io vedo la sua schiena e la rifletto fedelmente.
Me ne ripaga con lacrime e un agitare di mani.
Sono importante per lei. Anche lei viene e va.
Ogni mattina il suo viso si alterna all’oscurità.
In me lei ha annegato una ragazza, da me gli sorge incontro
giorno dopo giorno una vecchia, pesce mostruoso.
I am silver and exact. I have no preconceptions.
What ever you see I swallow immediately
Just as it is, unmisted by love or dislike.
I am not cruel, only truthful—
The eye of a little god, four-cornered.
Most of the time I meditate on the opposite wall.
It is pink, with speckles. I have looked at it so long
I think it is a part of my heart. But it flickers.
Faces and darkness separate us over and over.
Now I am a lake. A woman bends over me,
Searching my reaches for what she really is.
Then she turns to those liars, the candles or the moon.
I see her back, and reflect it faithfully.
She rewards me with tears and an agitation of hands.
I am important to her. She comes and goes.
Each morning it is her face that replaces the darkness.
In me she has drowned a young girl, and in me an old woman
Rises toward her day after day, like a terrible fish.
In questa lirica Sylvia si guarda allo specchio, dopo aver assaporato il dolore e la delusione di una vita; lo specchio diventa l’elemento di comunicazione interiore, rappresenta la necessità di scoprire il fondo della propria anima e il flusso di energie emotive che condizionano anche il pensiero.
Lo specchio/lago accoglie il bisogno di chi guarda al fondo della sua coscienza e dialoga con le ragioni profonde del suo essere.
Nella “Lettera d’amore” (1960), Sylvia scrive:
Non è facile dire il cambiamento che operasti./Se adesso sono viva, allora ero morta. (…)
Albero e pietra scintillavano, senz’ombra./La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.(…)Da pietra a nuvola, e così salii in alto./Ora assomiglio a una specie di dio/E fluttuo per l’aria nella mia veste d’anima/Pura come una lastra di ghiaccio. È un dono.
*
Insomma, dall’incubo infantile non si esce, e persino la poesia, l’arte, perdono piano piano la loro funzione salvifica.
Nei diari ( luglio 1950), la Plath scrive:
“Forse non sarò mai felice… ma stasera sono contenta. Mi basta la casa vuota, un caldo, vago senso di stanchezza fisica per aver lavorato tutto il giorno al sole a piantare fragole rampicanti, un bicchiere di latte freddo zuccherato, una ciotola di mirtilli affogati nella panna (…) in momenti come questi sarei una stupida a chiedere di più.”
Sylvia Plath riposa nel cimitero di Ebden Bridge, nello Yorkshire, dove risiede la famiglia del marito Ted Hughes. Qui ha finalmente ritrovato la sua posizione “orizzontale”, nell’unico e solo modo che ha ritenuto possibile.
Le sue opere
The Colossus (1960)
Poppies in July (1962)
Ariel (Plath)|Ariel (1965)
Crossing the Water (1971)
Winter Trees (1972)
The Collected Poems (1981)
Prosa[modifica | modifica wikitesto]
La campana di vetro (The Bell Jar, 1963) sotto lo pseudonimo di ‘Victoria Lucas’
Letters Home (1975) a cura di sua madre
Johnny Panic and the Bible of Dreams (1977) (l’edizione inglese contiene due storie che quella statunitense non possiede)
The Journals of Sylvia Plath (1982)
The Magic Mirror (1989), la sua tesi di laurea allo Smith College
The Unabridged Journals of Sylvia Plath, a cura di Karen V. Kukil (2000).
Le sue opere in Italia
In Italia nel 2002 è stato pubblicato “Il Meridiano” che raccoglie le sue opere (tutte le poesie ordinate cronologicamente più un’ampia scelta di Juvenilia, l’unico romanzo, “La Campana di Vetro”, le prose e i racconti di Johnny Panic, la Bibbia dei Sogni, gli estratti dai Diari). L’opera è introdotta dal saggio critico di Nadia Fusini che ci fornisce le coordinate per entrare nella poetica della Plath, intrisa degli eventi della sua esistenza, capace di reinterpretarli, trasformarli nelle formule magiche dei versi. Una poesia evocativa, ritualistica in cui la Plath è “la strega, la fattucchiera che esorcizza la vita in simboli, parole, immagini”.
Alcune traduzioni tra cui “Lady Lazarus e altre poesie (Mondadori, Milano, 1976), sono state curate da Giovanni Giudici e da Gabriella Morisco Amelia Rosselli, nel 1985 (Le muse inquietanti, Mondadori, Milano, 1985).
(Fonte: Wikipedia)
Per contattare Eufemia Griffo: eufemia_g@live.it
Dal Segnalibro di marzo, clicca qua
Il post originale è pubblicato qua
Riporto il commento di Debbi Antebi e di Jennifer Hambrick, al mio haiku “Misty morning”, pubblicato in occasione dell’ International Women’s Haiku Festival.
Sincere thanks dear Debbi and Jennifer, , I’m very delighted for your kind words.
* Debbi Antebi : Eufemia, thank you for your kind words. I love your ‘misty morning’ haiku, which evokes feelings of loss through its vivid image. Such an inspiring poem, congrats! Thanks to Jennifer, this has been a great festival/celebration of women’s haiku.Visualizza
Jennifer Hambrick Double “like,” Debbi and Eufemia. Your poems are just beautiful. Thank you both so much for submitting them to the festival.
* Debbi Antebi (@debbisland) lives in London, UK, with her beloved husband and books. Her work has been featured in magazines and journals around the world. An award winning poet and a member of the British Haiku Society, she exhales oxygen while writing po